Il teatro? “Un posto in cui star bene”
La barzelletta è abbastanza famosa: due commerciali di una ditta di scarpe vengono mandati in Africa. Dopo alcuni giorni, uno chiama la sede dell’azienda, implorando: “Mandatemi un elicottero e riportatemi indietro. Qui non combineremo mai niente, girano tutti scalzi!” Il secondo, chiama la sede, ordinando: “Mandatemi un elicottero e diecimila scarpe. Qui tutti girano ancora scalzi”.
La barzelletta ce la raccontano Andrea Lupo e Alessia Raimondi, due volti di Teatro delle Temperie, compagnia che anima la piccola frazione di Calcara nel bolognese. “E’ una questione di visione. Noi abbiamo scelto la seconda”.
Fare la spesa con i tuoi abbonati
E come il venditore di scarpe, si sono trasferiti sul posto, in questo piccolo abitato, duemilatrecento anime, “a diciotto chilometri esatti sia da Bologna, che da Modena”. L’ultima corsa dell’autobus è alle 18: “Qui gli universitari, ad esempio, li salutiamo allegramente”, spiega Andrea.
Come hanno fatto a creare un teatro in una piccola frazione? Lavorando con la comunità. “Abbiamo scelto di abitare qui – spiega Andrea – Per noi è stato fondamentale fare la spesa dove fanno la spesa i nostri abbonati. E ancora: abbiamo partecipato a tutti gli incontri di associazioni, Pro Loco e molti altri”.
Si cresce insieme alla comunità
“Abbiamo iniziato con una rassegna – racconta Alessia – Dopo qualche anno abbiamo iniziato con i laboratori per bambini. Poi per gli adulti”. Un cammino, un passo dopo l’altro, che ha seguito questo percorso molto chiaro: “Si cresce insieme alla comunità”.
Il che può significare anche abbandonare la parola “teatro”, se respinge le persone, anziché coinvolgerle. “I nostri laboratori sono un gioco – continua – Un posto in cui stare bene“.
Una programmazione a goccia
Sì, è quasi ovvio, sottolineare che servono competenze per realizzare un progetto teatrale. Ma occorre anche combattere lo snobismo. “Siamo artigiani teatrali“, dice Andrea, che il termine “artista” non se lo sente proprio addosso. “Se un artigiano teatrale perde il contatto con la realtà, con le persone normali, è meglio se cambia mestiere”.
Quindi, lasciamo pure perdere gli “eventi”, ma lavoriamo invece su “una programmazione a goccia, per fare un lavoro con la comunità”. Con una domanda sempre in testa: “Perchè quella persona non viene da me?”
E ovviamente: “Come posso fare per portarcela?”
E noi, come potremo farcela?
Come ricreare a Rovigo un’esperienza con lo stesso spirito di comunità, che sappia ascoltare, coinvolgere, appassionare le persone?
Come avvicinare al teatro anche (soprattutto) chi a teatro non penserebbe mai di andare?